storia - Allevamento Dobermann Roma - Campagnanensis

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1976: sono ancora adolescente e mio padre, dopo anni di preghiere, finalmente acconsente a prendermi un cane. La scelta cade su un dobermann.

I soggetti di quei tempi erano ben lontani da quelli che siamo abituati a conoscere adesso, oltre che morfologicamente anche caratterialmente.
Basti pensare che quando andavo a vedere l’esposizione internazionale di Roma nella seconda metà degli anni ’70, al Parco dei Daini di Villa Borghese, non c’era bisogno di chiedere dove fosse il ring assegnato alla razza: bastava dirigersi dove c’era più confusione di abbai, urla e schiamazzi vari.

Quel primo cucciolo (si chiamava Max e l’avevamo acquistato in un canile di Roma) fu accolto con tutta la gioia possibile ma col passare del tempo, e forse era prevedibile, si tramutò in un problema per me e la mia famiglia: un po’ per problemi di salute, un po’ a causa del carattere a dir poco… discutibile, e in ultimo per la discutibilissima educazione impartitagli dagli “addestratori” dell’epoca.

Intanto. alla fine degli anni ‘70 il dott. Massa (all. dell’Urbe), il dott. Germani (all. del Palatino), Pietro Settembrini (all. delle Furie Nere), Anaela Ferrari (all. dei Ferbas),. Francesco Bernabei (che sarà il mio maestro nei primi rudimenti dell’arte dell’addestramento), e poi il sig. Odorizzi (all. del Nero Selvaggio) costituiscono a Roma l’Associazione Amatori Dobermann.

Nonostante il primo approccio non certo positivo alla razza, e l’esordio non proprio edificante con il mio primo soggetto, la passione resisteva, ed era quella che mi portava a frequentare le esposizioni e tutti coloro che, sapendone più di me, potevano darmi risposte e stimoli in quell’universo Dobermann dal quale ero ormai definitivamente affascinato.

Negli anni ’80 un primo passo importante: da una cagna con sangue dell’affisso del Dente D’Acciaio, acquistata da mio fratello, nasce Lou.
Il padre è Gamal V. Ferrolheim, cane importato dall’Olanda dall’affisso di Villa Castelli, noto per il carattere sicuro e deciso.

A questo punto devo fare un inciso. In quegli anni ho capito, e questa convinzione mi guida ancora oggi, che il carattere in questa razza è cosa fondamentale.
Per questo il mio interesse per il mondo del lavoro si è fatto subito pressante: perché se si vuole allevare correttamente il dobermann bisogna saperlo conoscere nelle sue caratteristiche caratteriali, e lo si deve saper lavorare.
Solo così può evitare di produrre uno dei tanti bei soggetti che però al dunque… “non sanno ballare”. Il mio motto è che un cane per essere valido deve essere bello, ma deve necessariamente “saper ballare”: ossia, pur ottemperando a delle precise caratteristiche morfologiche, deve essere dotato di quel carattere che lo fa unico nel mondo canino. Diventare addestratore e figurante ufficiale perciò è stata cosa conseguente e necessaria al mio interesse per la morfologia del dobermann.
Può sembrare strano, ma in effetti diventare addestratore professionista è stato quasi un obbligo per lavorare con cognizione di causa nell’allevamento di questa meravigliosa razza.

Lou mi ripaga in parte delle delusioni patite con Max. E’ il primo cane tra quelli che – sia nel mio allevamento sia tra quelli che conoscerò nel corso degli anni - mi “spiega” quale deve essere il carattere della razza. Che si condensa in una nozione fondamentale: ciò che lo standard della razza descrive può essere reale, mentre di solito ai più sembra un’utopia.

Con Lou partecipo al mio primo campionato di addestramento, organizzato dall’AIAD.
Proprio in quei primi anni ’80, la sua direzione passava al dottor Pezzano, che ha dato una direzione molto chiara e decisa all’allevamento italiano: lavorare perché il dobermann sia un cane assolutamente gestibile, con nervi saldi e una aggressività media, in accordo con le direttive che provengono dalla Germania, culla della razza e depositaria dello standard.
Il dobermann allevato in Italia per poter conseguire il titolo di campione italiano di bellezza doveva superare sia il CAL2 , oggi diventato brevetto ENCI 2, sia lo Z.T.P., ossia la prova di selezione. Il club chiede agli allevatori associati di seguire per gli accoppiamenti questa direttiva: un soggetto per andare in riproduzione deve almeno aver superato lo Z.T.P.
Tanto è stato fatto su questa strada: ora il dobermann è assolutamente un cane da famiglia, facile da gestire, di grande docilità, ma sempre dotato di un temperamento che lo fa unico fra le altre razze canine.

Tornando a me, dopo aver conseguito il primo e il secondo brevetto ed aver partecipato a due campionati nazionali di addestramento con Lou, acquisto altre 2 cagne: Elfi dei Nobili Nati (figlia di Nicolai V. Kloster Kamp x Daniela) e Ghitta Dell’Urbe (figlia di Laerte Lugher del Littorio x Fionda dell’Urbe).
La prima, pur permettendomi di fare ulteriori esperienze nel mondo del lavoro, non lascerà progenie.
La seconda invece, con un accoppiamento in consanguineità su suo padre, produrrà Bambalina Campagnanensis che dà inizio al mio lavoro di selezione.
Il mio primo campione sarà una femmina marrone di nome Aldina, figlia di Ghitta X Eagle del Citone (maschio di grande sostanza e di ottimo carattere) che nascerà ancora senza quello che sarà il mio affisso. Questa cagna, di proprietà del dott. Ciacco, diverrà Ch italiana e AIAD.
Tanti altri campioni italiani, sociali, tedeschi e mondiali, l’hanno seguita negli anni.

Voglio ringraziare da queste righe anche coloro senza cui questi risultati non sarebbero stati possibili: per prima la mia compagna di vita e di lavoro, Daniela Di Salvo, e con lei i proprietari dei cani che hanno avuto fiducia in me, e che si sono adoperati per la buona riuscita dei loro soggetti. Primo tra tutti Piero Mottola, proprietario prima del Camp. Italiano Friederick Campagnanensis, e poi di Ivj Campagnanensis, Camp. Italiano, Camp. sociale AIAD, Vice IDC Siegerin 2004.

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